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Penalisti contro Morra: «condiziona l’inchiesta» PDF Stampa E-mail
Domenica 12 Maggio 2019 18:05

I giudici del Riesame: «procura di Trapani incompetente sul dossier Artemisia». Il vertice della bicamerale

interviene e si apre un conflitto a distanza con i difensori. La Camera penale di Palermo: «il presidente dell’antimafia contesta il trasferimento di un’indagine: è un’interferenza». Questa la situazione. Ora, senza entrare nel merito della faccenda e soprattutto se gli eventuali massoni siano coinvolti giustamente oppure no, è nostra intenzione evidenziare come la Commissione Bicamerale Antimafia voglia assumere un ruolo di controllo e di indirizzo della Giustizia. La politica si deve occupare della politica, fare leggi e controllare, secondo quanto è previsto dalla Costituzione e dalle leggi vigenti che tutti gli Organi dello Stato svolgano il loro compito con puntualità e rispetto delle leggi. Alla politica non è delegato il compito di controllare l’operato della Magistratura e sindacarne le decisioni. La Magistratura deve essere libera, non politicizzata e non agitare le manette. Questo in una democrazia compiuta. Purtroppo, la caccia alle streghe attualmente in atto, specialmente contro la Massoneria, è palese nell’intervento del Presidente On. Morra della Commissione Antimafia, il quale interviene nella sua funzione politica criticando l’operato dei magistrati. La Commissione Bicamerale Antimafia è un organo politico e non certamente una super magistratura. Per giudicare l’operato dei magistrati è deputato il CSM, organo interno presieduto dal Presidente della Repubblica proprio a significare la sua indipendenza da ogni forma politica, economica ed altro. Riportiamo, qui di seguito, l’articolo apparso su Dubbio del 17 aprile 2019 a firma di Errico Novi. Ai nostri lettori ogni ragionevole deduzione. “L’inchiesta è delicata. E fa rumore. Ventisette indagati, molti esponenti di rilievo della politica siciliana. Il reato più grave è peculato, anche se i pm, e i media locali, scorgono intrecci con la massoneria. L’indagine della Procura di Trapani intitolata “Artemisia” ha avuto insomma una tale eco che quando tutte e ventisette le persone coinvolte hanno ottenuto, la settimana scorsa, la revoca delle misure cautelari, il presidente della commissione parlamentare Antimafia Nicola Morra è intervenuto con una dichiarazione pesante e allarmata. «Si potrebbe recuperare al più presto, di sicuro la Procura non può rimanere inerte», ha detto il vertice della Bicamerale. Parole che i penalisti di Palermo non hanno lasciato correre: «È una illegittima e indebita invasione di campo», hanno replicato in una nota. Il caso è divampato definitivamente l’ 11 marzo. Quel giorno il Tribunale del Riesame di Palermo ha accolto il ricorso presentato dai difensori di due amministratori di Castelvetrano, epicentro dell’inchiesta. Sono stati annullati i domiciliari per l’ex sindaco Felice Errante e per Luciano Perricone, candidato alle Comunali del prossimo 28 aprile. Il punto è nella natura dell’eccezione: incompetenza territoriale. Eccezione riconosciuta, appunto, dal “Tribunale della Libertà”. Nell’intreccio di presunti illeciti e coperture di vario genere, l’episodio di peculato, il più grave appunto, si sarebbe consumato nel capoluogo. Ed è appunto a Palermo che dovrebbe trasferirsi l’intero procedimento. «In questi casi naturalmente la vis attrattiva del reato in questione trascina nello stesso luogo la competenza territoriale anche per le posizioni degli altri indagati», ricorda l’avvocato Fabio Ferrara, che della Camera penale di Palermo è il presidente. Naturalmente l’incompetenza territoriale del Tribunale di Trapani, e quindi della relativa Procura, ha reso nulle tutte le misure cautelari ordinate finora. Nel giro di poche ore si è verificato un effetto domino: le difese di tutti gli altri indagati hanno visto accolti i loro ricorsi al Riesame. Il giorno dopo la revoca degli arresti per Errante e Perricone, è stato scarcerato anche l’esponente politico di maggiore rilievo dell’inchiesta, l’ex deputato regionale Giovanni Lo Sciuto. È lui ad essere stato accusato di peculato: durante il suo mandato all’Assemblea regionale siciliana avrebbe procurato un “contratto fittizio” di portaborse alla moglie di un altro indagato, Giuseppe Angileri. Liberato anche lui. È questo il quadro che ha fatto temere al presidente dell’Antimafia Morra di veder naufragare un’iniziativa giudiziaria dalla notevole risonanza, capace di scuotere anche la giunta Musumeci. Tra i 27 indagati c’era anche l’assessore regionale all’Istruzione Roberto Lagalla, ex rettore dell’università di Palermo e sospettato di abuso di ufficio. Morra è intervenuto con quel richiamo che, per i penalisti, «rischia di infrangere il limite, il senso della misura che deve essere osservato certamente da un giudice, ma anche dal vertice di un organo istituzionale di grande importanza qual è la commissione Antimafia», come spiega Ferrara. Morra ha detto che «la Procura non può rimanere inerte», ma in realtà sarà un altro ufficio inquirente, quello di Palermo, a dover ricominciare da capo. A meno che la Cassazione non ribalti a propria volta l’ordinanza del Riesame. L’Antimafia esercita spesso poteri che si avvicinano a quelli di un ufficio inquirente, anche se non può emettere alcun provvedimento. Gli avvocati palermitani temono che un’opinione così “pesante” come quella di Morra possa alterare l’equilibrato svolgimento dell’iter. «I provvedimenti giurisdizionali, quando non si condividono, si impugnano secondo le regole previste dal codice», si legge nella nota della Camera penale, «ogni ulteriore attività tendente a orientare un qualsiasi procedimento si pone in netto contrasto con la cultura della giurisdizione e con i principi dello Stato di diritto». «Ci riferiamo al fatto che può essere solo Cassazione, a questo punto, a decidere, e che non possono essere accettate interferenze», spiega Ferrara. «Probabilmente non era quella l’intenzione del presidente Morra, ma quando si ricoprono incarichi di tale rilievo bisogna scegliere la giusta misura in qualsiasi dichiarazione».

Kadosh